Mecenauta

Gli NFT di Keith Haring all’asta da Christie's sono un esempio di tutela dell’arte digitale con la Blockchain

Matteo Piselli

Consulente di comunicazione
e marketing digitale

La caratteristica distintiva che definisce una persona come artista non è tanto la sua capacità tecnica, quanto piuttosto il suo saper cogliere in anticipo i piccoli cambiamenti che portano a un’evoluzione. Siamo all’inizio degli anni Ottanta e il mondo analogico comincia a guardare con interesse agli strumenti digitali. Trovarsi nel posto giusto, al momento giusto e con le persone giuste fa tutta la differenza del mondo. 

Nel 1984, in un appartamento di Manhattan (New York), alla festa per i 9 anni del figlio di John Lennon, sono presenti l’elemento di spicco della Pop Art americana Andy Warhol, l’artista Kenny Scharf, Keith Haring e l’informatico Steve Jobs con il suo computer Macintosh per mostrare le capacità della macchina; pura avanguardia per l’epoca.  

Foto che ritrae, da sinistra a destra, gli artisti Kenny Scharf, Keith Haring e un giovane fondatore di Apple, Steve Jobs. I tre stanno guardando in direzione di un oggetto fuori campo (che sappiamo essere un computer Macintosh) davanti a Steve Jobs. Alle loro spalle si vede l’artista Andy Warhol con lo sguardo fisso in un punto davanti a sé. Sullo sfondo una parete piena di foto, quadri e immagini varie.
Da sinistra a destra: Kenny Scharf, Andy Warhol, Keith Haring e Steve Jobs 

Dopo la festa, lo psicologo e scrittore Timothy Leary acquista dieci computer Commodore Amiga e li offre ad alcuni artisti selezionati, tra cui Keith Haring, per dare loro modo di sperimentare una nuova forma d’arte.  

A testimonianza dell’episodio, è stata ritrovata un’annotazione su un diario personale di Haring, datata 8 luglio 1986, che recita:  

“My drawings were perfect for translation into computers because the drawing line was already very close to the idea of “pixels” (the dots, or squares, that comprise a computer-generated image). 

“I miei disegni erano perfetti per essere tradotti in digitale, perché la linea di disegno era già molto vicina all’idea di “pixel” (i punti, o quadrati, che compongono un’immagine generata dal computer)”. 
(Keith Haring) 

Il risultato di questo pensiero coincide con cinque disegni completamente creati al computer, da cui emerge l’arte inconfondibile di Keith Haring: linee audaci disegnano figure danzanti, maschere giganti e macchie di colore vibrante. 

Dal floppy disk all’NFT, il passo (oggi) è breve

La notizia è che la Keith Haring Foundation, depositaria di tutto il lascito artistico di Haring, ha deciso di mintare (ossia creare token e distribuirli sotto forma di non fungible token, da cui l’acronimo NFT) i suoi 5 disegni fatti al computer sulla blockchain Ethereum. Finora queste opere d’arte erano visibili solo usando dei floppy disk (dei supporti rigidi di memoria riscrivibile esterni al computer, precedenti ai compact disc), ma presto le opere digitali di Keith Haring potranno essere collezionate, esibite e persino stampate grazie agli NFT.   

A occuparsi della vendita delle opere è Christie’s, che lancia l’asta onlineKeith Haring: Pixel Pioneerdal 12 al 20 settembre 2023. L’asta è anticipata da una mostra in anteprima mondiale al The Gateway di Seoul (Corea del Sud) dal 6 all’8 settembre, seguita da un’altra esposizione dal 14 al 19 settembre presso la sede di New York di Christie’s.  

Un’idea non originale, ma redditizia

Un’operazione molto simile era stata organizzata a maggio 2021 sempre da Christie’s con le opere digitali di un altro artista che aveva partecipato a quel famoso compleanno del 1985 e a cui Leary aveva donato un altro dei 10 PC Amiga 1000. L’artista in questione era Andy Wharol e l’asta online che ha messo in vendita le sue 5 opere digitali create nel 1985 si chiamava Machine Made. Anche in quel caso, le opere sono state recuperate dai floppy disk nel 2014, e poi mintate dalla Andy Warhol Foundation for Visual Arts sotto forma di NFT. Il risultato della vendita? Un incasso totale di $ 3.377.500. 

Schermata del sito della casa d’aste Christie’s che presenta le 5 opere digitali create da Andy Warhol al computer convertite in NFT e vendute a un’asta online nel maggio 2021. Raffigurano, nell’ordine: un autoritratto di Andy Warhol, Un fiore astratto, un secondo autoritratto di Andy Warhol, una banana e il celebre barattolo di zuppa Campbell’s. Sotto le anteprime delle opere, dettagli come il nome dell’autore, titolo e prezzo.

Qual è il vero valore degli NFT?

Dal 2021 in poi la maggior parte delle persone che si sono imbattute negli NFT ha pensato che questi potessero creare valore in sé, per il solo fatto di esistere. Così una miriade di progetti digitali più o meno seri ha creato milioni di non fungible token, nella speranza di arricchirsi attraverso la loro vendita.  

La realtà dei fatti è un po’ diversa. La bolla iniziale di speculazione si è placata e gli NFT di scimmie con vari travestimenti che tanto hanno fatto scalpore in quel momento sono da considerare un’eccezione; oggi non sarebbero appetibili, perché non hanno nulla di intrinsecamente prezioso. Ma allora perché la casa d’aste Christie’s crede ancora nelle opere certificate con questa tecnologia, tanto da commercializzarle? 

Gli NFT non creano valore, servono per tutelarlo e conservarlo. Sono uno strumento, non un oggetto. Se un oggetto digitale vale 2,00€, l’NFT non riuscirà a farlo valere 1000,00€; viceversa, se l’opera d’arte digitale ha un valore intrinseco elevato, la tecnologia NFT garantisce all’acquirente che quel valore resterà invariato, perché certifica l’autenticità dell’opera.  

Lo deduciamo dalle operazioni fatte con le opere digitali di Keith Haring e Andy Wharol di cui abbiamo parlato in questo articolo: le rispettive fondazioni, in accordo con la casa d’asta, hanno messo in vendita le opere solo quando la tecnologia ha permesso di certificarle come autentiche, non prima. Il valore delle opere c’è sempre stato e dipende solo dal valore artistico di chi le ha realizzate.  

Gli NFT esprimono tutte le loro potenzialità quando vengono chiamati a fare il loro lavoro, cioè certificare l’autenticità e l’unicità di opere nate digitali. Tutti gli altri usi (tra cui il cercare di rendere autentica la riproduzione digitale di un’opera analogica) sono solo espedienti per guadagnare, ma ancora una volta: se il valore intrinseco manca, non c’è NFT che tenga.